Giorgio Chiellini, a Sportweek, parla del suo rapporto con la Nazionale e non solo. Scorri in basso per leggere la prima parte dell'intervista. 

EVOLUZIONE DA DIFENSORE - "Di quegli anni mi sono rimasti i punti e la testa fasciata, per il resto sono cambiato in tutto. Sono cresciuto nella lettura del gioco in maniera esponenziale, però il vero salto di qualità l'ho fatto nella gestione emotiva della partita. Dai 33 ai 35 anni ho attraversato il periodo migliore della carriera, con una continuità di prestazioni di livello altissimo prima della rottura del crociato. Ho patito l'anno e mezzo di stop, anche per l'età e gli acciacchi, però sono contento di essere riuscito in quest'ultimo anno e mezzo a tornare a un livello molto buono, pur non giocando tantissimo. Mi ha dato la serenità di dire stop". 

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FINALE EURO 2012 - "Non me ne pento, ma con la lucidità di qualche anno dopo non sarei sceso in campo. Non stavo bene, avevo forzato per recuperare e non ero in grado di giocare. La mattina non riuscivo neanche a correre, lo dissi però era difficile per me tirarmi fuori, era la mia prima grande finale. Ho provato a fare infiltrazioni: non è servito e infatti l'ho pagato dopo. Però dagli errori s'impara. Ho lavorato tanto su di me, cerco sempre di capire alla fine di un percorso in che cosa posso migliorare". 

FUORI DAL MONDIALE - "Più dolorosa quella del 2018. Sicuramente. Perché era la prima ed è stata totalmente inaspettata e poi perché non avevamo ancora vinto l'Europeo. Non esserci qualificati rimane una grandissima delusione, però è troppo vicina all'Europeo. La soddisfazione della vittoria sovrasta l'amarezza". 

RESTARE ALLA JUVE - "Sarei rimasto col Mondiale? Sì, perché volevo cambiare la mia storia con il Mondiale, che non è mai stata felice. Ci ho provato con tutto me stesso ma non ci sono riuscito. Nel 2010 siamo usciti in malo modo in un girone più che abbordabile, nel 2014 eravamo partiti alla grande ma ci siamo complicati la vita perdendo il posto da testa di serie perché abbiamo giocato in condizioni davvero proibitive, con viaggi, orari e caldo folli. Nel 2018 non ci siamo nemmeno qualificati e io avevo questo grande rammarico. Pensi che se fossimo andati in Russia avrei lasciato la Nazionale dopo quel Mondiale. E probabilmente avrei fatto male, perché poi ho avuto i miei anni migliori. In quel momento però ero convinto di aver già dato il mio massimo. A Milano, dopo la sconfitta con la Svezia, ero talmente devastato che volevo dire addio anch'io come Pirlo, Buffon, Barzagli, De Rossi, ma i consigli delle persone vicine, Oriali per primo, mi hanno convinto a non prendere decisioni a caldo. Poi è arrivato Mancini e mi ha conquistato con un'umanità che non pensavo avesse". 

CAPITANI AZZURRI - "Cosa vuol dire? E' un onore e un onere, qualcosa che va oltre il sogno. Quando ci arrivi senti un senso di completezza e di appagamento. Credo che il mio rendimento alto nell'ultimo periodo sia dovuto soprattutto a questo: dopo tanti anni percepisci tutto come più bello, hai raggiunto più di tutto quello che potevi sognare e te lo godi. Sei più leggero e più felice, giochi sciolto e alzi il livello di rendimento. Avrei pagato per essere l'eterno secondo di Buffon, quando hai i Gigi accanto sai che avrai sempre il suo sostegno. Però quel vuoto lasciato da lui mi è servito per migliorare ancora". 

L'EUROPEO - "Il momento più emozionante è stato in pullman, verso lo stadio. Un'ora in mezzo al traffico di Londra con Sirigu che ci mostrò i video di saluti dei nostri familiari e scrisse un biglietto per ognuno di noi. Le parole che scelse per me mi toccarono molto. Avevo Donnarumma e Locatelli accanto, e un nodo in gola. Mi sono detto: 'Se crollo io, cosa devono fare questi due che hanno vent'anni?'. Non so come ho fatto a trattenere le lacrime, sarei scoppiato a piangere come un bambino. Il resto lo sapete già, è storia. E io sono fiero di aver gioito da capitano con un gruppo di uomini pieno di valori".