È stato il periodo più difficile di tutta la sua lunga carriera di dirigente sportivo?
«Sì, senza ombra di dubbio. Stavolta non c’erano scadenze o competitor da affrontare per una elezione o qualche competizione da organizzare. Ci siamo svegliati una mattina e abbiamo trovato un nemico che ci ha cambiato la vita: senza sapere come afferrarlo, combatterlo, superarlo. Costretti a chiuderci in casa. Al disagio vissuto come tutti gli italiani, per ruolo ho aggiunto quello di chi ha cercato di tenere insieme e rassicurare presidenti federali, dirigenti di comitati regionali, atleti. In questi mesi di decreti del governo, ordinanze regionali, testi definitivi, conferenze stampa, ho scaricato ogni giorno tre-quattro batterie del cellulare. È stata dura. Adesso tutti spingono per ripartire: chi per interessi sportivi, chi per competizione, chi per ragioni economiche. C’è un’ansia, una esigenza che sta creando una fortissima pressione nei confronti del sistema e delle istituzioni sportive».
«Ribadisco quanto vado dicendo dall’inizio del Covid 19. In Italia ci sono almeno 15 sport di squadra. A torto o a ragione tutti, nel giro di poche settimane, hanno chiuso i battenti e deciso di non assegnare gli scudetti. Il calcio, un po’ perché è un mondo a parte e un po’ per interessi economici, ha voluto continuare la sua partita e chiudere i campionati. È un suo diritto e un dovere: conosco le carte, le deleghe, l’autonomia della Figc e il rimando della Federazione alla Lega dell’organizzazione dei campionati. E dico, bene, benissimo: sono il primo a fare il tifo perché il calcio riprenda. Ma dopo pochi giorni alla parola calcio si è sostituita la parola Serie A. Dilettanti e Lega Pro, hanno capito abbastanza presto che con certe dinamiche di protocollo non erano in condizioni di riprendere. La Serie B ha votato da poco per ricominciare. Da mesi insisto: puntiamo a ripartire ma non essendo possibile fare previsioni di lunga scadenza, viste tutte le variabili esistenti, deve esistere anche un piano B. Non averlo è un errore. Faccio un esempio: domani usciamo in barca da Napoli per raggiungere la Corsica perché il mare è calmo, ma se dopo poche miglia comincia ad alzarsi, si deve prevedere anche di tornare indietro o di cambiare rotta: arrivare ad ogni costo non può essere l’unica soluzione. Un comandante minimamente giudizioso deve avere alternative. All’estero i campionati o li hanno chiusi oppure chi ha deciso di riaprirli o intende farlo, nel frattempo, ha messo tutto in sicurezza nel caso di un nuovo stop. Parlo di accordi con le varie componenti e con i broadcaster. Come la Bundesliga... I tedeschi se si dovessero fermare di nuovo hanno nel cassetto già l’accordo con i broadcaster e i giocatori. Così facendo hanno messo il governo nelle condizioni di poter prendere una decisione rapida. Da noi non è stato così».
«Se la curva dei contagi manterrà un indice basso, credo non ci sarà problema a partire un paio di giorni prima».
Pare che la Figc stia studiando un’ipotesi di playoff e playout...
«Lo leggo, ma mi risulta che non tutti siano d’accordo. Voglio sia chiaro che il Coni ha solo interesse se il calcio, o meglio la Serie A, riesce a risolvere i problemi. Le mie non sono invasioni di campo come qualcuno le ha definite: ho un atteggiamento propositivo, non critico».
Perché in tutto questo tempo non è stato fatto nulla?
«Un piano B avrebbe richiesto di mettere intorno a un tavolo tutti i soggetti coinvolti: la Figc, la Lega di A, il Coni se ci avessero invitato, i calciatori, gli allenatori, gli arbitri, i medici sportivi, magari un rappresentate dell’Uefa, i broadcaster. Tutti in una stanza per trovare soluzioni e accordi in caso fosse impossibile ripartire o fosse necessario fermarsi di nuovo. Classifiche, tagli di stipendi, date, rate di diritti tv. Perché non è stato fatto? Certo è difficile, magari sarebbe servito stare chiusi come in certi vecchi tavoli di concertazione. Ma non saremmo oggi in una situazione dove ogni categoria difende il proprio punto di vista e non ci sono accordi».
«Capisco le esigenze delle società, fossi un presidente di club cercherei anch’io di decurtare parte delle mensilità sospese, ma come affronti questo argomento se fino a metà marzo i giocatori hanno giocato, ad aprile dovevano essere a disposizione, a maggio si allenano e a giugno, luglio e agosto devono giocare? C’era la volontà da parte delle categorie di trovare un accordo, ora ognuno va a alla spicciolata: chi strappa un mese, chi due. Non c’è stata programmazione».