Il presidente del Coni Giovanni Malagò parla alla Gazzetta dello Sport. Ecco alcuni passaggi, tra sensazioni e ripresa.

È stato il periodo più difficile di tutta la sua lunga carriera di dirigente sportivo? 
«Sì, senza ombra di dubbio. Stavolta non c’erano scadenze o competitor da affrontare per una elezione o qualche competizione da organizzare. Ci siamo svegliati una mattina e abbiamo trovato un nemico che ci ha cambiato la vita: senza sapere come afferrarlo, combatterlo, superarlo. Costretti a chiuderci in casa. Al disagio vissuto come tutti gli italiani, per ruolo ho aggiunto quello di chi ha cercato di tenere insieme e rassicurare presidenti federali, dirigenti di comitati regionali, atleti. In questi mesi di decreti del governo, ordinanze regionali, testi definitivi, conferenze stampa, ho scaricato ogni giorno tre-quattro batterie del cellulare. È stata dura. Adesso tutti spingono per ripartire: chi per interessi sportivi, chi per competizione, chi per ragioni economiche. C’è un’ansia, una esigenza che sta creando una fortissima pressione nei confronti del sistema e delle istituzioni sportive».

Pistocchi punge Chiellini: ‘Il rigore contro il Real allo scadere? Ma per favore...
Il calcio italiano non si è distinto per visione comune, unione e coerenza. Altre discipline hanno deciso cosa fare in fretta. E anche all’estero c’è stata maggiore sinergia tra politica e istituzioni calcistiche nella scelta di riprendere o chiudere i campionati. 
«Ribadisco quanto vado dicendo dall’inizio del Covid 19. In Italia ci sono almeno 15 sport di squadra. A torto o a ragione tutti, nel giro di poche settimane, hanno chiuso i battenti e deciso di non assegnare gli scudetti. Il calcio, un po’ perché è un mondo a parte e un po’ per interessi economici, ha voluto continuare la sua partita e chiudere i campionati. È un suo diritto e un dovere: conosco le carte, le deleghe, l’autonomia della Figc e il rimando della Federazione alla Lega dell’organizzazione dei campionati. E dico, bene, benissimo: sono il primo a fare il tifo perché il calcio riprenda. Ma dopo pochi giorni alla parola calcio si è sostituita la parola Serie A. Dilettanti e Lega Pro, hanno capito abbastanza presto che con certe dinamiche di protocollo non erano in condizioni di riprendere. La Serie B ha votato da poco per ricominciare. Da mesi insisto: puntiamo a ripartire ma non essendo possibile fare previsioni di lunga scadenza, viste tutte le variabili esistenti, deve esistere anche un piano B. Non averlo è un errore. Faccio un esempio: domani usciamo in barca da Napoli per raggiungere la Corsica perché il mare è calmo, ma se dopo poche miglia comincia ad alzarsi, si deve prevedere anche di tornare indietro o di cambiare rotta: arrivare ad ogni costo non può essere l’unica soluzione. Un comandante minimamente giudizioso deve avere alternative. All’estero i campionati o li hanno chiusi oppure chi ha deciso di riaprirli o intende farlo, nel frattempo, ha messo tutto in sicurezza nel caso di un nuovo stop. Parlo di accordi con le varie componenti e con i broadcaster. Come la Bundesliga... I tedeschi se si dovessero fermare di nuovo hanno nel cassetto già l’accordo con i broadcaster e i giocatori. Così facendo hanno messo il governo nelle condizioni di poter prendere una decisione rapida. Da noi non è stato così».

La A vorrebbe riprendere il 13 giugno, ma il governo ha bloccato tutto fino al 14... 
«Se la curva dei contagi manterrà un indice basso, credo non ci sarà problema a partire un paio di giorni prima». 

Pare che la Figc stia studiando un’ipotesi di playoff e playout... 
«Lo leggo, ma mi risulta che non tutti siano d’accordo. Voglio sia chiaro che il Coni ha solo interesse se il calcio, o meglio la Serie A, riesce a risolvere i problemi. Le mie non sono invasioni di campo come qualcuno le ha definite: ho un atteggiamento propositivo, non critico».
 
Perché in tutto questo tempo non è stato fatto nulla? 
«Un piano B avrebbe richiesto di mettere intorno a un tavolo tutti i soggetti coinvolti: la Figc, la Lega di A, il Coni se ci avessero invitato, i calciatori, gli allenatori, gli arbitri, i medici sportivi, magari un rappresentate dell’Uefa, i broadcaster. Tutti in una stanza per trovare soluzioni e accordi in caso fosse impossibile ripartire o fosse necessario fermarsi di nuovo. Classifiche, tagli di stipendi, date, rate di diritti tv. Perché non è stato fatto? Certo è difficile, magari sarebbe servito stare chiusi come in certi vecchi tavoli di concertazione. Ma non saremmo oggi in una situazione dove ogni categoria difende il proprio punto di vista e non ci sono accordi». 

Parliamo di taglio degli stipendi ai calciatori... 
«Capisco le esigenze delle società, fossi un presidente di club cercherei anch’io di decurtare parte delle mensilità sospese, ma come affronti questo argomento se fino a metà marzo i giocatori hanno giocato, ad aprile dovevano essere a disposizione, a maggio si allenano e a giugno, luglio e agosto devono giocare? C’era la volontà da parte delle categorie di trovare un accordo, ora ognuno va a alla spicciolata: chi strappa un mese, chi due. Non c’è stata programmazione».