"Come si cambia per non morire". E' il verso di una canzone e potrebbe essere una frase esplicativa per capire il tipo di comunicazione di Massimiliano Allegri. Che l'anno scorso guidava una squadra - a inizio stagione, almeno - in grado di "dover lottare per vincere lo scudetto". Che adesso non vuole sentire ragioni: "L'obiettivo è il quarto posto - dice -, la Champions aiuterebbe". E il titolo? Beh, il titolo ha preso il posto della Champions: è un desiderio. Si lavora per raggiungerlo. Se non arriva... se non arriva niente: applausi, ci abbiamo provato, ci riproveremo. 

GIUSTO COSI'? - Parole che per tanti si riflettono in campo. E cioè in una Juve che ha tutto per lottare ma ha forse troppa paura per farlo. Il fuoco delle polemiche ha bruciato più o meno tutti e in particolare Max, che adesso si muove come chi ha subito un freschissimo trauma: partita dopo partita, tastando prima di toccare. Ben lontani dalla storia bianconera, che impone e non indica. Che pretende, e non chiede. Misure quasi dittatoriali per un allenatore bravissimo a tenere il gruppo, però quanto davvero in sintonia con quest'ultimo? Il primo a non crederci sembra proprio Allegri. Non per le scelte, neanche per le dichiarazioni. Semmai per l'atteggiamento: meglio non prenderle, per darle ci sarà tempo. Quel tempo per crescere. 

'Se Allegri è alla Juve e De Zerbi al Brighton c'è un motivo...': il commento
COSA CAMBIA - Strano però capire cosa sia cambiato rispetto all'anno scorso. Anzi, forse è fin troppo semplice: la Juve è diventata una squadra più leggera, pure di testa. Ha perso giocatori pesanti e d'esperienza e per questo non può sobbarcarsi il peso della vittoria giornata dopo giornata. Ma così non si rischia di entrare in un circolo vizioso? La Juventus dei forti era quella brava a inserire i giovani in un contesto enorme. Li guidava attraverso le responsabilità, non evitandole. Così Allegri rischia di fare il papà-chioccia. Protegge tutti. E nessuno diventa grande.