Roberto De Zerbi, il suo calcio, il presente e il futuro. L'allenatore del Sassuolo si racconta in un'intervista al Corriere dello Sport, a pochi giorni dalla gara con la Juventus. Una partita preparata in un modo particolare.
 
"Sono a mio agio. Qui a Sassuolo sto nel mio habitat. Faccio il lavoro che amo e lo faccio come voglio io. Sono tranquillo nella non tranquillità. Io sto bene solo quando sono stressato. Quando sono posseduto. Non riesco mai a staccare e qui mi sento libero di stare immerso a tempo pieno nella mia passione. Ho sempre anteposto il calcio a tutto, mai spinto dalla voglia di soldi o di carriera. Il calcio mi fa star bene. Tira fuori quello che sono: il mio carattere, nel bene e nel male. Sono un gemello astrologico. Mia madre Alviana dice che dopo quarant’anni non ha ancora imparato a gestire l’altro mio gemello, quello strano. L’intrattabile, il ribelle, quello attraversato da una vena di follia. Tanti allenatori vivono solo per il risultato. Io no. Se dovessi dare tutto quello che do solo per il risultato sarei un coglione. Mi fa impazzire piuttosto vedere una mia squadra in campo non organizzata e non motivata. Folle far dipendere tutto da un palo dentro o un palo fuori. Io lavoro a tempo pieno sui rapporti, sulla testa dei miei giocatori, come migliorare sempre, far esprimere tutti al loro meglio, la ricerca del dettaglio".

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LA PASSIONE - "Vieni da me e ci divertiremo insieme, gli dico. Divertimento e passione, barra cuore. Questa è la prima cosa che cerco di trasmettere. Ai miei giocatori e ai miei due figli, Elisabetta 15 anni, e Alfredo 13. Anteponi il calcio anche alla famiglia? Siamo cresciuti insieme, io e moglie Elena. Mi conosce meglio di chiunque altro. Sa che, per stare bene, il mio lavoro lo devo vivere così. Anche i due figli l’hanno capito… Ieri passeggiavo con Elena e lei, a un certo punto, mi fa: “Roberto, confessa, stai pensando alla mezz’ala e al centravanti per domenica?" Era vero? Assolutamente sì. Convivo con il senso di colpa. Invidio gli allenatori che trovano il tempo di giocare a golf o vedere le mostre, io non ce la faccio. Detto questo, i miei sanno che nel bisogno importante, mollo tutto e vado da loro".

RAPPORTI - "Per me l’aspetto dei rapporti viene prima di quello tattico. E’ l’aspetto cui dedico più tempo. Julio Velasco dice che se hai empatia con la squadra fai i risultati, se hai anche affetto sbanchi… Ma non è facile. Come ci si costruisce la credibilità da allenatore? Con la lealtà. Avendo una faccia sola. Dicendo cose anche brutte, dritto per dritto, senza mandare avanti il direttore sportivo. Ad esempio, Peluso non rientrava nei miei piani. Glielo dissi il primo giorno di ritiro: “Federico non voglio 25 giocatori, ne voglio 20 e tu non rientri. Se non trovi una squadra, ti puoi allenare con noi, io ti darò la massima attenzione. Molto brutta. Lui si è allenato alla grande, zitto, non giocando mai. Fatto sta che ora è titolare. Da calciatore, i non leali, dal presidente all’allenatore, mi davano un fastidio insopportabile. In questi casi divento strano, posso fare di tutto". 

JUVE - "Non potrei mai allenarla? Perché mai? Posso stare in qualunque mondo, Sassuolo, Juventus o Real Madrid, ma a modo mio. Se ci si sceglie per le rispettive identità. Io so stare nelle regole, non sono un anarchico ma, nella mia sfera, le regole le devo determinare io. Alla Juve vincere non è importante, è l’unica cosa che conta. Sottoscrivo? Io non firmo questo manifesto, ma solo perché sono ingordo: voglio giocare bene e vincere. Se gioco male, non vado lontano. Non sono felice, se vinco giocando male".  

GIOCAR BENE - "Non ha questo dovere la Juve? Il giocar bene non è identificabile, non corrisponde a una verità assoluta. Il calcio non è uno. Le strade per arrivare al risultato, tante. Io sono convinto che una buona organizzazione è la strada migliore. Allegri? Lo stimo tanto. Non l’ho visto allenare, ma ha una gestione straordinaria dei giocatori. Vorrei rubargli poi un’altra qualità. Come sa migliorare i singoli giocatori. Vedi Pjanic, Bernardeschi e Alex Sandro alla Juve. Anche questo Cancelo non è quello dell’Inter". 

JUVE E LA PARTITA - "Se partiamo pensando che siano in difficoltà, è la volta che ci fanno neri. La loro mentalità è imparagonabile. C’è troppo divario tra loro e gli altri. Come all’epoca del Milan di Sacchi. Mi sento e mi confronto spesso con Sacchi. Lui e Guardiola sono gli ultimi che hanno cambiato il calcio. Gli altri possono vincere decine di trofei, ma la storia si ricorderà solo di loro". 

GUARDIOLISMO? - "Da un lato mi fa piacere, dall’altro mi dà fastidio. Il suo Barcellona è la squadra che più mi ha emozionato. Giocava e non faceva giocare. Poi, lui è un genio, va al Bayern e ne fa un Barcellona in versione tedesca, ripartenze, cross, va al City e s’inventa una versione inglese. Più verticale che orizzontale, la ricerca della profondità". 

BOATENG - "Abbiamo un rapporto forte. Lui, come me, attraverso il calcio esprime la sua natura, racconta la sua infanzia, la sua storia, la parte anche selvaggia di sé. E’ un personaggio particolare, ma con un cuore grandissimo. Se ho provato a tenerlo? No, anzi l’ho favorito quando ho capito la sua voglia di Barcellona, anche se il suo addio ci ha indebolito. Cerco di entrare nelle loro teste, rispettando la loro diversità. Mi piace aiutarli. Mi piace anche toccarli fisicamente, abbracciarli. Non esco mai con loro e apprezzo quando s’incontrano per confrontarsi e si prendono delle responsabilità. Non ho paura di essere scavalcato. Boateng era il mio estro, il mio buon selvaggio. Magnanelli è quello tatticamente più evoluto, con una visione più collettiva che individuale. Matri e Peluso sono i più anziani, non hanno la certezza del posto, ma cerco di farli sentire importanti. Djuricic, Boga e Babacar sono il talento che non deve andare sprecato. Li bastonerò se occorre".

BERARDI - "Eterno incompiuto? Gli mancano solo i gol. Sta giocando alla grande, ma ne avesse fatti 10 invece che 3, staremmo tutti a parlare di un fenomeno. Ma ci penso io a farlo. Berardi è un ragazzo d’oro, ma molto introverso. Mi piacerebbe entrare di più nella sua testa, ma non voglio forzare troppo, rispetto il suo carattere. Assolutamente sì. Un altro tipo Berardi è Locatelli. Mi piacerebbe entrare di più anche nella sua testa. Sta diventando un giocatore importante. Ho questa sensazione. Il calciatore deve leggere i giornali, convivere con le critiche. Non deve scappare dalla pressione, ma dargli il giusto valore".