Le persone non cambiano. Quante volte ci siamo detti questa frase, troncando una storia d'amore o un'amicizia, quando i difetti lungamente sopportati si fanno insostenibili. Le persone non cambiano, ci siamo detti ancora con un velo di superficialità, scongiurando che le strade con chi pensavamo di detestare non si incontrassero mai. Certo, un biondo non sarà mai moro, senza una tinta e, quella tinta, sarà sempre un artificio. Però, c'è una parola che spesso confondiamo con "cambiare": ed è "crescere", un passaggio non obbligatorio che non corrisponde per forza ad un cambiamento, drastico o meno, quanto ad una presa di coscienza. 

Due anni fa, in occasione del più caldo dei Juventus-Napoli degli ultimi venti anni, Maurizio Sarri esibiva il dito medio ai tifosi che attorniavano il pullman dei partenopei. Due anni dopo, guarda caso, siede proprio sulla panchina bianconera: Sarri è cambiato, verrebbe da pensare. No, Sarri è cresciuto. E' cresciuto in due aspetti fondamentali: il primo è professionale, il secondo, naturalmente, umano. Entrambi però, vanno di pari passo. Infatti, quel dito medio non fu che la punta dell'iceberg, lo stesso tecnico arrivato a Torino la scorsa estate, ha ammesso che non fosse rivolto "alla Juve", ma ai 20 "stupidi" che lo avevano insultato. Una reazione ai limiti del legittimo, ma che arriva nel momento di massima tensione, proprio quando Sarri aveva assunto quel ruolo di capopopolo che ora, a Napoli, vorrebbero togliergli. Allora, cosa è successo davvero?

Sarri, due anni fa il dito medio ai tifosi della Juve: ecco perchè
La stagione cruciale, che ha permesso a Sarri di fare i conti con se stesso, non è stata tanto l'ultima di Napoli o questa alla Juventus: l'anno al Chelsea, per quanto breve nella durata, ha aperto gli occhi dell'allenatore toscano, al punto da permettergli di prendere, qualche mese dopo, la scelta che metà Italia gli ha criticato. Allenare la Juventus. Il calcio, specialmente per chi ci lavora, non è "ideale", non è politica. Eppure, in Italia, riusciamo a tollerare il mercato della politica, dove un deputato comincia a destra un mandato e lo finisce a sinistra - e viceversa -, ma proprio non riusciamo a sopportare che ciò avvenga nel calcio. Dove, è inutile nascondersi, si parla di professionisti. E l'anno al Chelsea, per un personaggio sanguigno come Sarri, è servito a scendere a patti con questa realtà: sono un professionista e i professionisti, per essere migliori di altri, devono vincere. 

A Londra, l'ex Napoli ha vinto, anche se con qualche patema. Ha vinto senza aver bisogno di chiamare a raccolta nessuno, ma semplicemente facendo il suo lavoro. E questo, al netto di un'età che - senza offesa - non è più tenera, lo ha messo di fronte all'evidenza. Un allenatore di calcio non deve cambiare il mondo, non deve essere integerrimo negli ideali, deve solo fare il suo onesto mestiere. Sarri lo sa fare, e molto bene. Le antipatie vengono in secondo piano, lo ha capito vivendo la sua nuova realtà. Al punto da sentirsi "gobbo", realizzando come l'odio, applicato al calcio, non faccia che generare mostri. Sarri è cresciuto e a Torino, con i giocatori giusti, potrà mostrare cosa voglia dire pensare unicamente al pallone, senza doversi preoccupare di fare le veci di un santone. E' stato bello, a Napoli, almeno per chi lo ha amato. Ma ormai, è passato. E il passato non deve contaminare il presente, figurarsi il futuro.