Per esperienza diretta di vita vissuta non potrò mai dimenticare il giorno, ormai lontanissimo, in cui la Juventus annunciò che Omar Sivori la stagione successiva sarebbe stato ceduto e avrebbe giocato per il Napoli. Omar, per noi adolescenti, non era un semplice calciatore. Rappresentava un’ideologia, un modo di essere e di vivere fuori o dentro il campo. Era la gioia fatta numero 10. Una nuvola nera di tristezza si addensò quel giorno sopra la testa del popolo juventino. Le domeniche allo stadio non sarebbero state mai più le stesse. La favola era durata per otto stagioni.
Dybala, anche lui argentino e anche lui rappresentante del calcio votato alla fantasia, non è Sivori. Però era bello immaginarlo simile al “cabezon” ed egualmente la sua immagine è andata spesso a sovrapporsi sopra quella leggendaria dell’angelo dalla faccia sporca. I bambini e i ragazzini, soprattutto, andavano allo stadio perché con la maglia numero dieci potevano vedere Paulo Dybala che quando faceva gol o quando domava il pallone con un gioco di prestigio era meglio di un giro sulla giostra o di un sacchetto pieno di pop-corn al cinema. Il calcio oggi è cinico, opportunista, calcolatore. Eppure resiste in tutti noi un angolino ritagliato per l’emotività, l’empatia e la gioia disinteressata. La Juve lo ha dimenticato trasformando quello che sembrava amore per Dybala in un calesse. Complimenti vivissimi a lorsignori in bianconero.