“La Juve è dentro di me. Sono nata e cresciuta lì”, in quel momento spunta un sorriso spontaneo sul volto di Alice Giai. Da centrocampista che si rispetti Alice è molto riflessiva, lo si percepisce dal peso che attribuisce ad ogni parola: scelta con attenzione prima di essere pronunciata. Non lascia nulla al caso, cura ogni concetto che vuole trasmettere. Non si nasconde nel parlare delle sue emozioni e di ciò che ancora le fa male come una ferita ancora non del tutto rimarginata. Ha tanto da raccontare, nonostante i suoi vent’anni. Il mondo che la circonda è tutto da conoscere, partendo da Napoli, città che ha scelto in estate per mettersi alla prova in Serie A. Certo, i sette anni alla Juventus Women non si dimenticano. proprio come gli insegnamenti di Joe Montemurro. Un viaggio tra sensazioni, ricordi e sogni per il futuro. Quel futuro dove Alice sembra aver lasciato qualcosa in sospeso…

Juve Women U19: via al campionato, il programma
Pink Bari-Juve Women, 18 ottobre 2020, cosa ti ricordi di quel giorno?
“Il mio esordio in Serie A. Avevo 17 anni. Sono subentrata ad Aurora Galli che era uno dei miei idoli del calcio femminile. Quando sono entrata mi aveva fatto l’in bocca al lupo e mi aveva abbracciata, mi ha permesso di essere più serena. Prima di entrare ero molto tesa, mi tremavano le gambe, sudavo tantissimo e non perché facevo fatica. Quando sono entrata in campo era facile perché ero circondata da persone che mi permettevano di essere tranquilla”.
 
Dopo sette anni hai dovuto lasciare quella che reputavi casa, é stato complesso?
“Lasciare i luoghi e le persone di una vita non è mai una scelta facile, con il tempo però ho capito che è necessario per la crescita di un’atleta. Sia dal punto di vista sportivo che mentale perché azzeri quotidianità ed abitudini per crearne di nuove. Questo ti arricchisce, inizialmente è destabilizzante ma dopo un po’ di tempo ho ritrovato l’equilibrio e per me è stato fondamentale”.
 
Hai costruito qualche legame particolare alla Juventus? Quale? 
“Parlerò di un legame vero e profondo. Ho creato la mia compagnia di amiche, ci chiamiamo le Muchachos. Sofia Bertucci, Giada Canderloro, Federica D’Auria e Clara Genitoni e io. Si è creato perché prendevamo la navetta per andare all’allenamento tutte insieme al Lingotto. Abbiamo anche un tatuaggio insieme: una parola danese “Hygge” sarebbe quella sensazione di famiglia e familiarità che si sente quando si è attorno al falò con gli amici. Noi siamo molto legate”. 
 
Uno sguardo al presente, perché hai scelto il Napoli Femminile? 
“Nella stagione passata sentivo di aver bisogno di cambiare, ambiente, mentalità. Di fare un’esperienza diversa, che mi allontanasse dalla comfort zone, come modo di giocare e come modo di vivere. Pensavo che questa fosse la scelta migliore, che mi avrebbe potuto arricchire come atleta e come persona. Volevo mettermi in gioco in Serie A, dopo l’infortunio per riprendermi ho fatto un anno in Serie B. Volevo mettermi in gioco per lottare verso qualcosa di concreto come la salvezza”.
 
Una torinese a Napoli, che impatto hai avuto con la città e con il nuovo ambiente?
“Amo Torino, per me è la città più bella del mondo. A Torino amo il centro, mi piace passeggiarci anche da sola quando ho tempo oppure mi piacciono i Murazzi. Non ero mai stata a Napoli prima. Sono una ragazza molto curiosa che quando cambia città vuole scoprire e trovare posti nascosti. Ora ho girato molto Napoli ed è stupenda, mette davvero serenità. Al nord spesso ci sono pregiudizi verso Napoli in realtà credo si dovrebbero assumere alcune idee che ci sono qui. Ad esempio le persone per strada si salutano sempre, se c’è un problema non si agitano ma si trova una soluzione. È sinonimo di serenità. Il mio posto preferito? Marechiaro”.

Sei arrivata da quasi due mesi a Napoli, come ti hanno accolta le compagne e come ti stai trovando?
“A Napoli mi hanno davvero accolta a braccia aperte. Quello che mi ha colpita di più è che ragazze e staff mi hanno da subito messa a mio agio e fatto sentire parte di qualcosa di grande, questo non è né facile né scontato nei top club. Questo mi ha dato da subito fiducia. Devo ammettere che stiamo legando e crescendo con facilità e velocità che mi impressionano”.
 
Hai potuto essere allenata sia da Rita Guarino che da Joe Montemurro, quali differenze tra i due hai trovato?
“Con Rita Guarino ero piccola, era il mio primo anno in prima squadra. Dal mio punto di vista ha un’idea di calcio ancora italiana. Joe invece ha portato dei concetti internazionali basati sull’occupazione dello spazio con e senza la palla come principio fondamentale. Dal punto di vista individuale Joe lavora su dei concetti base che ti permettono in campo di risolvere qualsiasi situazione ti si presenti. Ad inizio anno lui fa una classica presentazione, a me ha colpito che lui presenta questa lista in cui legava ad ogni situazione di gioco un’azione. L’obiettivo è assimilarle ed avere un pensiero veloce in campo perché così riesci a risolvere ogni situazione. È un lavoro individuale che può fare chiunque”. 
 
C’è qualcuno dei suoi insegnamenti che applichi ancora ora?
“Ora rivelerò una cosa: a me piacerebbe allenare, non so se succederà mai. Ho iniziato ad abbozzare le idee di gioco che mi piacciono, per capire che strada darò al mio calcio. Io ho preso tutte le ‘Style roules’ di Montemurro. Nelle capacità individuali ci sono le sue ‘Style roules’ perché sono la cosa più utile che mi sia mai stata insegnata”.
 
Sei stata in panchina in Women’s Champions League all’Allianz Stadium, ti ricordi quel giorno? 
“È stato bellissimo, siamo arrivate allo Stadium con il pullman. Siamo entrate nello spogliatoio, quello che usa la prima squadra maschile. Ognuna ha trovato le proprie cose nello spogliatoio già pronte, io ero al posto di Chiellini. A vedere Cristiana Girelli, Barbara Bonansea, Martina Rosucci che si preparavano mi sembrava di guardarle al rallentatore e io seduta lì in mezzo a loro, le migliori d’Italia. Mi si è fermato veramente il mondo, sembravano dei titani. Stavano andando a fare probabilmente quello che ogni calciatrice nel mondo sogna, nel nostro stadio, lì avevo davvero la pelle d’oca. Poi quando vai in campo per il riscaldamento hai questa marea di persone che ti acclamano dagli spalti è bellissimo, avevo davvero la pelle d’oca”.
 
La prima volta che sei entrata a Vinovo invece te la ricordi? 
“Bellissimo. Avevo gli occhi grandi come una bambina che entra in un negozio di caramelle. Mi sono resa conto che forse potevo puntare a qualcosa di grande. Prima di entrare lì era quasi un hobby giocare a calcio. Lì ho capito che era il mondo in cui volevo arrivare. Stessa cosa che ho provato quando siamo andate a Barcellona a giocare il trofeo Gamper, lì avevo le lacrime agli occhi tutto il tempo, è stato incredibile. Respiri l’aria di chi fa le cose in grande ed ha fatto la storia del calcio”.
 
Cosa significava per te essere il capitano della Juventus?
“Rappresentare quella che è l’importanza della Juventus è stato uno dei riconoscimenti più importanti finora. Essere il capitano ti da responsabilità: sei il filo conduttore tra allenatori e squadra. È fondamentale far remare tutti nella stessa direzione per poter vivere un’annata positiva. Ti preoccupi che tutti stiano bene all’interno dello spogliatoio. Sapere che le mie compagne credevano e contavano sulla mia figura era davvero appagante. In campo parlo tanto per tenere sempre accese le ragazze, fuori non mi piace fare rimproveri. Preferisco parlare alla squadra ed essere chiara una sola volta”.
 
Cos’hai detto alle tue compagne prima delle tue ultime Final Four? 

 “Generalmente faccio un discorso per tirare fuori da ognuna la propria motivazione. Chiedo a loro quanto vale ciò che si stanno andando a giocare e cosa sono disposte a dare per le persone che hanno accanto”.
 
Fuori dal campo invece che persona è Alice? 
 “Alice fuori dal campo è una ragazza molto intraprendente e curiosa. Mi piace dilettarmi in varie cose, ad esempio amo cucinare e in generale amo cibo e arte culinaria. Il mio piatto preferito? L’amatriciana, penso sia anche quello che cucino meglio, sui primi sono forte (ride ndr). Mi piace la moda, il design e la musica, tre passioni che condivido con mia mamma. Ho una cultura musicale molto ampia: da Lucio Battisti a Drake. In questo periodo ascolto spesso R&B, mi trasmette le vibes giuste per fare qualsiasi cosa. Infine, studio economia e commercio sperando di diventare capo della mia stessa azienda in futuro”.
 
Sei stata costretta a saltare la tua ultima finale Scudetto U19 per un infortunio, quali sono state le emozioni di quei giorni? 
 “Con l’infortunio ho saltato la mia ultima partita in Juventus, sapevo sarebbe dovuta essere l’ultima la finale. È stato come se il destino mi avesse negato la mia ultima partita con la Juve, mi piace pensare che sia rimasto qualcosa in sospeso, come se non avessi finito con la Juve. Questo mi motiva molto, io dentro di me penso di non poter aver giocato l’ultima partita senza sapere che sarebbe stata l’ultima, significa che prima o poi ci tornerò per completare qualcosa. Mi è crollato il mondo addosso quando mi sono fatta male, non lo nego. Non muovevo più la spalla, quando respiravo però sentivo che mi si muoveva la clavicola. Ho saltato poi la finale ma soprattutto l’Europeo Under 19, perché sarebbe stata la cosa più bella della mia vita, ho pianto tanto. Ancora adesso pensandoci mi fa male, non credo di averlo ancora superato del tutto”.
 
Hai potuto realizzare quello che tante bambine sognano, crescendo nella Juventus ed esordendo in prima squadra, che consiglio daresti oggi ad una bambina che ‘da grande’ vuole essere come te?
 “A chi vuole intraprendere questa strada posso solo dire che l’unico modo per raggiungere qualcosa di importante è lavorare duro, con costanza, senza perdere il divertimento e la magia che solo questo sport sa dare. Soprattutto da piccole perché è in quel periodo che si apprendono più capacità possibili e si sviluppano i caratteri che contraddistingueranno poi una giocatrice dall’altra. Mi sento di dire anche di essere consapevoli e riconoscenti nei confronti di chi ha reso possibile questo sogno facendo la storia di questo sport, dentro e fuori dal campo. Verso chi ha lottato per far sì che le bambine che si affacciano al calcio abbiano tutele e possibilità concrete di renderlo un lavoro a 360 gradi”.