Divenne l’incontrastata bandiera della Juve dei due scudetti revocati, ma come annusò aria di crisi s’accasò dai rivali di sempre. All’ Inter, chiudendo il cerchio della beffa o della congiura. Ma, in realtà, Zlatan non poteva essere e non è stato la bandiera di nessuno. Un cavaliere di ventura con un un’infanzia nel ghetto di Rosengard, pronto non a tradire, piuttosto a fuggire da un presente feroce (il padre gonfio di birra e lacrime, un fratello morto giovanissimo, l’emarginazione sociale) guidato dalla stella polare del riscatto personale. Pronto ad andare là dove il soldo brilla di più e a cambiare patria, secondo il DNA d’un apolide che, pur giocando per la Svezia, non ha mai cancellato fino in fondo le proprie stimmate delle radici balcaniche. Sì, non fu tra i fedeli che accompagnarono la Juventus in B, ma lui non è mai stato fedele a nessuno o questa è stata la sua fedeltà: pochi anni e poi via. Inter, Milan, Barcellona, Paris Saint Germain, United, Los Angeles Galaxy…e ora, di nuovo, Milan.
Spavaldo, non privo d’arroganza, ma generoso; tatticamente disciplinato, ma senza padroni. E coraggioso. In fondo, l’ha detto, anzi l’ha scritto: “La realtà è che eravamo i più forti e volevano distruggerci. Io, gli scudetti vinti con la Juve li sento miei e li espongo nel salotto di casa mia”.