CREDERE IN DIO - "No. Credo solo in me stesso. Neppure nell’Aldilà? No. La vita è questa. Quando sei morto, sei morto. Non so neppure se voglio un funerale o una tomba, un posto dove far soffrire chi mi ha voluto bene".
GUERRA IN JUGOSLAVIA - «Mio padre ne soffriva tantissimo. Ogni giorno arrivava la notizia della morte di una persona che conosceva. Lui aiutava i rifugiati. Però cercava di tenermi al riparo. Ha sempre tentato di proteggermi. Quando morì sua sorella, in Svezia, non mi lasciò andare all’obitorio. Però, quando è morto mio fratello Sapko, di leucemia, io c’ero. E mio fratello mi ha aspettato, ha smesso di respirare davanti a me. L’abbiamo sepolto con il rito musulmano. Papà non ha messo una lacrima. Il giorno dopo è andato al cimitero e ha pianto dal mattino alla sera. Da solo».
CAMBIAMENTO E JUVE - «Non avevo ragazze non soltanto perché ero timido, ma perché ero innamorato di me stesso. In partita cercavo il numero da circo, perché avevo un ego più grande di tutti gli svedesi messi assieme. Sono cambiato in Italia. Dissi a Helena: dai proviamo, vieni con me a Torino, vediamo se funziona. Ha funzionato. Capello mi ha insegnato a badare al gol. E mi ha massacrato, di continuo. Un uomo molto duro. Il primo giorno, dopo la conferenza stampa, i festeggiamenti e tutto, entro nello spogliatoio, lui sta leggendo la Gazzetta dello Sport,e io bello gasato gli faccio: “Buongiorno mister!”. Lui non posa il giornale. Resto un quarto d’ora lì, con la Rosea in faccia. Poi Capello si alza, chiude il Gazzettone, e se ne va, senza dirmi una parola. Come se non esistessi».
SCUDETTI - «Quegli scudetti li abbiamo vinti, e nessuno ce li può togliere. Nessuno può cancellare il sudore, la fatica, la sofferenza, gli infortuni, i gol. Per questo, quando dicono che in carriera ho vinto undici scudetti, li correggo: sono tredici. Moggi era uno che incuteva soggezione, anche se non a me. Come Berlusconi».
MIHAJLOVIC - «Sinisa mi aveva provocato per tutto il match, dicendomi cose orribili in slavo, anzi serbo-croato, e io ci ero cascato. Adesso mi chiama bato: figlio mio. Quando si ammalò, della stessa malattia di mio fratello Sapko, stavo quasi per andare al Bologna. Per lui. Mihajlovic in campo era cattivo, come lo era Ballack, un altro provocatore di professione; ma lo faceva per dare un vantaggio ai suoi compagni. Non come Materazzi. Entrava da dietro per fare male; e noi calciatori capiamo subito quando uno entra per fare male o semplicemente entra duro, come Chiellini, come Stam, come Maldini... Paolo Maldini era cattivissimo. Se voleva farti male sapeva come fare. Ma lo evitava, perché metteva la sua giusta cattiveria al servizio della squadra. Materazzi? Con lui avevo un conto aperto da anni. L’ho saldato in un derby. Quello entra a piedi levati, io salto, lo evito, e lo colpisco con una gomitata alla tempia. Pippo Inzaghi commentò: “Il più bel derby della mia vita: 1 a 0, gol di Ibra, Materazzi in ospedale”. Ovviamente stava scherzando".
LITE CON ALLEGRI - "Avevamo perso 3 a 0 con l’Arsenal, e lui era tutto contento. È vero che avevamo passato il turno, ma non c’era nulla da ridere, e gliel’ho fatto notare. Allegri cosa ha risposto? Tu Ibra pensa a te, che hai fatto cagare. Gli ho ribattuto che aveva fatto cagare lui: per paura si era portato due portieri in panchina... Allegri è bravissimo a gestire lo spogliatoio, ma doveva avere più coraggio: andare al Real Madrid, misurarsi con l’estero. Invece ha fatto la scelta comoda".
DONNARUMMA - «Gigio è un grandissimo portiere. Se gli avessero dato quel che chiedeva, sarebbe rimasto al Milan. Ora deve fare casino per essere titolare nel Psg. Non esiste che i sudamericani impongano quell’altro. Gigio è più forte».