"Il caso Kean e la sua esclusione dai titolari nell’ultima partita degli Europei Under 21 non è solo una vicenda sportiva, ma un episodio che coinvolge tutti. Nella vita siamo spesso chiamati a prove particolarmente complesse e profonde. Ci serve tempo per poterci preparare e acquisire le capacità necessarie ad affrontarle. Sovente sono necessari molti anni e soprattutto molti errori per farci diventare capaci di gestire situazioni di grande tensione e stress, momenti in cui la vita individua con precisione è nostri punti deboli. Come sappiamo, quegli stessi punti deboli, una volta superati, possono diventare punti di forza. Però la trasformazione richiede una condizione necessaria: il tempo.
Ma come fare a insegnare una via di difesa o di sopravvivenza a un giovane campione. La ricetta in questo caso non c’è e forse non esiste una panacea che abbia effetto su tutti allo stesso modo. La strada che offre più certezze è come sempre il lavoro, le società - con l’aiuto delle famiglie - devono cominciare a prendersi cura del cervello e del cuore di questi ragazzi con la stessa attenzione e conoscenza con cui si prendono cura dei loro muscoli, dei piedi e dei polmoni. Un lavoro capace di tenere conto del fattore evolutivo e del fattore umano, elementi troppo spesso considerati secondari che possono diventare il fattore catastrofe, quello che fa naufragare momenti chiave di carriere o di sfide decisive.
Ogni atleta deve diventare un progetto con la sua emotività e soggettività che non va repressa e bastonata ma correttamente inserita in un percorso volto all’acquisizione di sempre maggiore consapevolezza e quindi di forza. Questo vivere ogni passaggio e goal mancato come una grave sconfitta personale, ma piuttosto come un’opportunità per imparare e crescere.