Era andato avanti, Gigi, cullato dal sogno di ragazzo e mettendo in pratica i consigli di uomo maturo: la Juve andava servita e riverita, solo in altro modo. E al termine del biennio, se i dubbi (e la paura) sul futuro restano gli stessi, la rassegnazione del buco nella carriera è diventata consapevolezza di mortalità, da Superman più umano di tutti.
Aveva deciso di restare anche per lui, nella scorsa e turbolenta estate. Per provare a sparare l'ultima cartuccia contando - e supportando - un compagno di viaggio, nel segno dell'unità d'intenti, della forza del gruppo. E' crollato tutto. E' crollato anche Gigi, figura di riferimento e sempre più di rado di campo. Appena ha percepito la possibilità di disturbare con le sue nuove intenzioni, ha ancora una volta anticipato tutti ed evitato la rianimazione del sogno, per tanti terminato con quel lungo saluto e con la conferenza d'addio in cui le lacrime sono state trattenute a fatica.
Da uomo d'altri tempi, ha messo la Juventus sempre al primo posto. E chi esulta oggi per l'addio del portiere più forte di sempre, fomentato da due anni di anonimato (ma siamo sicuri?) e con la bava alla bocca per la rivoluzione dei giovani terribili, non stia fino alla fine con Buffon per riconoscenza: lo faccia solo per il senso smisurato d'appartenenza a questi colori. In una squadra in cui identità e applicazione sono persi, se ne va il più grande esempio d'amore. Impossibile da non rimpiangere.