Tutte le cogestioni partono con il migliore dei propositi: assottigliare la distanza tra il comandante e la flotta, tra chi dà gli ordini e chi li esegue. E spesso è solo per la profonda stanchezza di chi subisce, o magari un tentativo disperato di riaccendere una fiamma spenta da tempo, consumo, naturale usura di uomini e buona sorte. Ecco, è chiaro, forse palese, che la scelta di Andrea Pirlo sia andata pure in questa direzione: dentro la scommessa c'era pure la necessità di riavvicinare il gruppo storico e di porlo al comando, per tornare alle sensazioni del passato 'contiano' e magari tornare a respirare aria pulita, serena, senza gli eccessi di chi gioca sul filo delle pressioni. Sarri no, non andava bene proprio perché le scaricava nei suoi atteggiamenti; Allegri aveva il dono di surfarle, rischiando sempre di più su onde sempre più alte (alle volte cadeva, ma chi non l'ha mai fatto?). E Conte se ne nutriva come in una dieta bilanciata: c'era un tot che poteva sopportare, tutto il resto era responsabilità altrui, della società che non comprava, di qualche giocatore che non recepiva, del gap con gli altri, più ricchi e più forti. 

Pirlo-Juve, patto finale: come salvare la stagione
IL VERO FALLIMENTO - Andrea Pirlo doveva "semplicemente" fare da via di mezzo: in un anno in cui gli si poteva perdonare mille scelte di campo, la vera casella da spuntare era alla voce 'gruppo'. E cioè: tutti i patemi, le scintille, le schermaglie arrivate al di là del campo del JTC e finite nei dossier sulla scrivania della dirigenza, avrebbero dovuto cessare di esistere. A fine marzo, la bilancia ha iniziato a pesare dall'altra parte: e qualcuno benedice pure i nervosismi da spogliatoio, ché fortificano l'ambiente. Chi ha torto, chi ha ragione? La verità come sempre è insita nei fatti: il caso Demiral, che ha accettato la convocazione della Turchia pur essendo infortunato e in quello stesso ritiro ha contratto il Covid, è solo l'ultimo esempio. Prima di lui, c'è stato il viaggio di Arthur, poi lo sfogo senza virgolette di Buffon, Dybala e il viaggio a Barcellona, la mini vacanza di Ronaldo, la squalifica (raddoppiata) a Rabiot. Situazioni tutte diverse e allo stesso tempo tutte comprensibili. Ma tutte diventate troppo, ancor di più nell'anno iniziato sotto la cattiva stella del caso per eccellenza, quello Suarez. Badate bene: non è un calderone in cui abbiamo riversato gli aspetti extra campo, ognuna di queste situazioni poteva essere gestita con comunicazione e in totale amicizia. Nello spirito della cogestione, insomma.

Perché non è andata così? Di Max Allegri, una frase intelligente: un tecnico deve sapere di calcio, sì, e pure di risorse umane. Almeno qui, a Torino pensavano di essere già a buon punto.