Nè Dusan Vlahovic nè Federico Chiesa; nemmeno il capitano Adrien Rabiot nè Moise Kean, che l'avrebbe pure meritata. Alla fine a prendersi la copertina della serata di ieri all'Allianz Stadium è stato Andrea Cambiaso, di certo non l'uomo più atteso di Juve-Verona e forse neanche tra i più vivi nei circa trenta minuti che Massimiliano Allegri gli ha concesso, con il risultato ancora sullo 0-0. Eppure, ripensando a una vittoria tanto importante quanto meritata per la squadra bianconera, non sembra un caso che sia stato proprio il classe 2000 il protagonista di un successo che ha regalato a Madama l'ebbrezza di tornare dopo più di tre anni in vetta alla classifica di Serie A.

Ora ci spieghiamo meglio. Ai nostri occhi Cambiaso appare tanto come il simbolo di una squadra operaia, senza veri big ma con tanti giocatori disposti a fare anche gli straordinari, se necessario, e dunque a correre senza sosta dietro agli avversari, pure in zone di campo non di loro competenza, lottando fino alla fine per un unico obiettivo, a testa bassa e senza troppi fronzoli. Insomma a fare gruppo, un gruppo composto di ragazzi che ora - proprio perché consapevoli di non poter più contare sulle cosiddette star come Paul Pogba e Angel Di Maria - sanno di avere un piccolo grande pezzo di responsabilità in una Juve che vuole tornare grande, e che per farlo ha bisogno davvero di tutti, anche e soprattutto dei suoi "soldati semplici".

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Quindi ben vengano i vari McKennie, Gatti, Miretti, Cambiaso e Yildiz (ma l'elenco potrebbe allungarsi parecchio), perché questa squadra ha bisogno proprio di loro. O meglio, del loro spirito, della voglia di dare un contributo concreto alla causa, senza quella vanità e quegli orpelli che a volte caratterizzano i "top player", ma solo con il genuino desiderio di fare bene per la propria squadra. Che nel calcio, a volte, è davvero l'unica cosa che conta.