E' tutto qui. Nel tempo che scorre e nelle sfide che ognuno di noi si pone per andare avanti. Di stimoli n'è pieno il calcio, ma il mondo di Ronaldo lo tocca soltanto marginalmente: quello che si è costruito Cristiano per rimanere al top non è solo una gestione fisica e mentale, sono serie di ostacoli da superare, di vette da raggiungere, di vittorie da conquistare. Ecco perché gli bruciava lo stomaco quando l'Inter lo guardava dall'alto al basso, ecco tutto quel nervosismo incongruente che era figlio del dolore al ginocchio e tipico di quando corpo e cervello non vanno di pari passo. Davanti ha ora sessanta giorni per tornare a essere Ronaldo, per alimentarne il mito e incrementare il bottino. Tutto o niente, su base di sacrificio: ennesima storia, ennesima prova. Ennesima dimostrazione di come andare oltre sia una questione principalmente di costanza, quindi di talento.

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QUELLA RABBIA - Quella rabbia contro Sarri, quella che sembrava il preludio a una crisi di spogliatoio, si è invece trasformata nella più naturale assicurazione sulla vittoria della Juventus. Da lì, complice il Pallone d'Oro 'regalato' a Messi, Cris è salito prima in cattedra e poi su Murru. Ha smesso di litigare col presente: è sceso in campo e ha recuperato, eliminando le scorie di risultati e prestazioni tutt'altro che convincenti. Il 2019 si è chiuso nel modo peggiore, ma quanto mostrato da CR7 in un dicembre fuori dal normale deve rappresentare il punto di ri-partenza di tutta la Juventus. Che prima di tuffarsi su Lione e Champions, ha due compiti particolari: strappare sull'Inter a gennaio e provare a costruirsi una classifica 'agevole' per fronteggiare un doppio impegno mai così probante (per rosa, convinzioni, condizioni). Sessanta giorni, primo e secondo mese dell'anno: non perché chi ben comincia debba poi essere a metà dell'opera, ma solo per seguire la regola di... Cristiano: sacrificio uguale risultati.