Moise Kean a Views, portale francese, parla così dell'esperienza alla Juve e non solo.

IL RETROSCENA -  "In realtà ho avuto la possibilità di giocare con alcuni dei migliori giocatori del mondo. Sono grato per questo, perché mi ha insegnato molto. C’è una storia che non dimenticherò mai. Avevo 15 anni, e sono entrato per la prima volta nello spogliatoio della Juventus, e poi Mario Mandžukić mi ha detto: “Che ci fai qui?”. Io dico: “Mi hanno mandato qui”. Poi continua: “Non pensare che rimarrai qui, resterai forse una settimana e te ne andrai”. Poi sono tipo, “Wow, voleva mostrarmi quanto fosse difficile. In quel momento, ho imparato molto, anche se mi chiedevo se fosse solo cattivo o se fosse per aiutarmi".

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MOMENTI DURI - "Ci sono sempre momenti difficili. Ma so come uscirne, perché in ogni momento complicato c’è un risultato positivo. Non ho fretta, non mi faccio mai prendere dal panico, fa parte della vita. Tutto accade per una ragione, e l’unica cosa che posso fare è continuare a lavorare sodo. La pressione? Sono una persona che non sente la pressione. Sono sempre stato abituato a stare con persone più grandi. Mi ha spinto ad avere sempre più ambizione fin da giovane".

RAZZISMO IN ITALIA - "Sono nato in Italia, so quanto sia difficile per un uomo di colore vivere in questo paese. Essere vittima del razzismo. Mi sono successe molte cose e spero che cambieranno. Quanto successo a Lukaku di recente? Nessuna sorpresa. Ho pensato: 'Benvenuti in Italia, n****!' Spero davvero che un giorno la gente capirà che questo è qualcosa che non ha bisogno di esistere. Tutti sono umani, hanno un’anima e un cuore. Quando è successo a me, non me l’aspettavo. Sapevo benissimo che c’è molto razzismo, ma non pensavo che sarebbe successo- Ero ancora molto giovane. Non avevo idea che potesse accadere in uno stadio. Forse posso capire che succede fuori, con persone che non conosci, ma in una fase in cui prendi la tua famiglia, i tuoi figli, è vergognoso. Ho reagito così perché è l’unico modo. E non ho reagito male. Il mio primo obiettivo è stato segnare e poi festeggiare in questo modo, in modo che possano capire che non c’è posto per il razzismo, né nel calcio né nel mondo".