La Juventus, tra poche ore, scenderà in campo contro il Porto privo di uno dei suoi leader storici oltrechè di un campione corteggiato e non a caso dalle società più prestigiose d’Europa. Una scelta che il tecnico bianconero ha voluto definire obbligata per ragioni non certamente tecniche ma etiche. Una presa di posizione rigida e rigorosa al limite del “caporalesco” che sotto il profilo dell’osservanza alle regole professionali non fa una piega. Salvo tonare indietro di pochissimo e ricordare che prima Dybala e poi Lichesteiner non riuscirono a domare il loro sentimento di pubblica insofferenza nei confronti del loro allenatore.
Massimiliano Allegri, dal canto suo, non può e non deve sentirsi in colpa o fornire spiegazioni per il suo gesto più autoritario che non autorevole. Lui è il direttore d’orchestra, fino prova contraria, e soprattutto viene pagato per fare l’allenatore anziché lo psicologo. Ragion per cui, nel mondo militaresco del pallone quando fa comodo, la voce grossa e la muscolarità non possono essere contestate più di tanto.
E allora, in caso positivo, il dissidio tra l’allenatore e il difensore escluso verrà archiviato e poi scordato.
Che il dio palla voglia così. Per Allegri, naturalmente. Contrariamente e sfortunatamente il danno sarebbe enorme. Ma la cosa più grave è che a pagare il prezzo più alto non sarebbe il tecnico, destinato in ogni caso e prima o poi, ad andarsene via. La caporalata di Allegri ricadrebbe sulla Juventus. E non sarebbe giusto. Le conseguenze ancora peggiori.