Era il primo punto all'ordine della rivoluzione di Allegri. Un passo indietro per farne uno più importante in avanti, e forse definitivo. La sua Juve ha superato una prova di coscienza e l'ha fatto contro un avversario completamente diverso, privato del suo elemento migliore, ma non dello spirito e del ritmo che Sarri ha già saputo imporre alla Lazio. Era una maturità di novembre, un assaggio di ambizione, un big match da non fallire perché il treno Champions non fa poi così tante fermate: e ogni volta salire diventa più complicato. 

LA RABBIA - Si può dire che sia stato un risultato di rabbia. E si può dire che il 2-0 dell'Olimpico, oltre gli undici metri di un cuore enorme da Leo Bonucci, sia stata una nuova pagina, completamente diversa, di una Juve brava a contare su di sé. Non su Dybala, neanche sulle sgroppate di Chiesa (per quanto decisive): tutto il peso è stato affidato alla coniugazione tattica, alla declinazione delle missioni affidate da Allegri. Ed è la grande vittoria, questa, proprio del tecnico. Perché c'è tutto il credo che professa: attenzione, abnegazione, le corse ragionate in avanti e quelle fondamentali all'indietro. Proprio su queste s'è arrabbiato tantissimo, e a ragion veduta: i bianconeri non possono permettersi di essere molli, non c'è più chi toglie le castagne dal fuoco. Si bruciano sempre. 

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UN PASSO IN AVANTI - In classifica e in termini di mentalità, è un passo in avanti che rilancia le ambizioni. Di tutti. Tappa Chelsea da un lato, la Juve ha l'occasione con l'Atalanta ancora di accorciare e di regalarsi finalmente un ciclo con punti e risultati pesanti. Servirebbe tanto. E servirà tanto mantenere questa testa, questa lucidità, recuperare giocatori e re-inserirli in un contesto che finalmente funziona perché è di nuovo un'unione di tutti e tutti sono per uno, con l'uno che è sempre il risultato. Da lì non si scappa. E il giorno in cui ripartirà il ritornello tra giochisti e risultatisti, sarà il giorno in cui la Juve potrà dirsi guarita.