"Ne ho sentiti tanti che usano quella parola lì con spregio. Altri invece la adoperano per offenderti e farti uscire dai gangheri. Se a me è successo? La prima volta giocavo negli allievi nazionali. A un certo punto piansi in campo per gli ululati e gli insulti ricevuti dai genitori. Avevo 15-16 anni. Poi mi feci una corazza. Ma non è non è facile, va oltre, non è un’offesa comune. È un qualcosa che ha radici nella storia, dato che i nostri avi non potevano fare le stesse cose dei bianchi", così Fabiano Santacroce, ex difensore del Napoli, intervistato da Tuttosport, in merito alla vicenda che riguarda Acerbi e Juan Jesus.

LA REAZIONE DI JUAN JESUS - "Stavo guardando con mia figlia la partita, appena ho visto Juan Jesus con l’arbitro ho capito di cosa si trattasse. Si vedeva che lo stesse richiamando non per un altro tipo di gesto scorretto. Mi è dispiaciuto che una cosa così sia accaduta in un match di questa risonanza, sotto gli occhi di tanti ragazzi. Juan Jesus ha affrontato la situazione con una signorilità pazzesca, è stato molto più che bravo".
 
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COSA SI ASPETTAVA DA ACERBI - "Più intelligenza. Le spiego: sarebbe stato molto meglio per lui non parlare. Sentire quelle spiegazioni è stato più schifoso dell’eventuale gesto in sé. C’è una linea sottile tra il razzismo vero e puro e voler offendere una persona di colore con ignoranza. Per me Acerbi non è razzista, non è uno skinhead. Ma chi non capisce che quel tipo di offesa va a fare proprio male a una persona di colore è sinonimo di molta, molta, molta ignoranza»

SULLA SQUALIFICA - "Io non cerco un capro espiatorio. Non lo reputo un razzista vero, ma se ha proferito quelle parole, è giusto che venga squalificato. Altrimenti mi sembrerebbe un’assurdità indossare la maglia con scritto: “No al razzismo”. Le sue eventuali scuse? Avrebbe dovuto farle subito, come ha fatto in campo a Juan Jesus. Adesso dovrebbe cambiare versione".

'E' SUCCESSO ANCHE A ME' - "Più volte, tanti avversari cercavano di farmi innervosire così. Perché non dissi nulla? Avrei mostrato una sofferenza che mai avrei voluto fare vedere. Così cercavo di difendermi sul campo. Poi, se mi fossi fermato, magari il mister mi avrebbe tolto"