C'è un ricordo che spiega alla perfezione perché Mario Mandzukic corra più forte degli altri. Si lega alla sua infanzia, ai primi palloni calciati sotto età e con le ambizioni pure di un bambino. Si diceva, ecco, che per raggiungere il campo di allenamento, il suo primo tecnico facesse correre tutta la squadra per due chilometri di fila. Vento, pioggia, neve, fango: non c'erano margini di trattativa, c'era solo da andare dritto. E lui andava. Filava. Partiva in gruppo e finiva in solitaria: non per una particolare storia di tenacia, né per una questione di prepotenza fisica. Semplicemente, era l'ultimo a mollare. 

NEL DERBY - E l'istantanea del derby si compone quasi interamente di un'immagine simile. Che è simbolo di abnegazione e di totale dedizione alla causa. Che andarci così forte, su quel pallone, vuol dire non lasciare nulla d'intentato e crearsi un piccolo mondo di riscatto. Mandzukic contro il Torino è stato se stesso, e tanto è bastato alla Juve per portare a casa un risultato che in un modo diverso non sarebbe mai arrivato. Ancora una volta, Allegri è stato facile profeta. Era il migliore, fisicamente e mentalmente, nell'attacco bianconero. E mentre Zaza sbagliava, lui si prendeva la scena. Tutto in un istante, fatale e beffardo, magico e supremo. Sulle spalle l'intera squadra, fischi trasformati in mugugni e Juve che continua un filotto pazzesco. Sembrano vere e proprie magie: ma è solo l'aurea dell'ultima versione di Mario Mandzukic.