Lucianone nostro passerà alla storia come il male del calcio, per chi non è juventino. Per tanti juventini, invece, sarà per sempre un dirigente straordinario diventato nel 2006 la vittima di un clamoroso complotto. Giusto per capire subito da che parte stiamo, diciamo che ci avviciniamo molto alla visione dei primi. Senza Moggi questo mondo, certo mai trasparente fino in fondo, ci appare migliore, e anche la Juve ci piace decisamente di più. Agnelli e Marotta hanno dimostrato che si può vincere anche senza essere troppo arroganti, senza gestire il mercato di troppe società, senza avere un figlio procuratore di troppi calciatori della propria squadra. E senza telefonare ai disegnatori arbitrali con un tono troppo amichevole o troppo prepotente (e qui gli juventini ci diranno che lo facevano tutti: a noi non pare che tutti avessero lo stesso comportamento nei confronti dei celeberrimi Bergamo e Pairetto, e nemmeno ai giudici).
Moggi è, innanzitutto, un grande conoscitore di calcio. Quando, mezzo secolo fa, vide Franco Causio in campo durante un provino al quale assistevano gli osservatori di tanti club, disse subito all’allenatore di sostituire quel ragazzino, che se ne andò sbattendo le scarpe per terra perché pensava di essere stato bocciato in pochi minuti. Macché, quei pochi minuti erano stati sufficienti a Lucianone per capire che si trattava di un fenomeno e temeva che se ne accorgessero anche gli altri. All’epoca Moggi lavorava alle Ferrovie dello Stato, però aveva la vocazione del dirigente. “Qui io non ho problemi perché delle società conosco tutto, anche quello che deve fare il magazziniere”, diceva ai tempi in cui dominava il mondo con la Juve.
@steagresti