Cinque anni non sono pochi e la panchina, oggi, consuma in fretta: Ferguson e Wenger sono un’eccezione. Rappresentano una sorta di cesarismo calcistico: l’anima, l’organizzazione, il mercato, la tattica, tutti nelle mani di uno. Allegri non solo non incarna la figura del generale dictator, non la prevede per adesso, nemmeno il nostro calcio. E poi, appunto, la panchina logora. Quella della Juve forse più delle altre. Non tanto per i rapporti con la società, la più quadrata e riflessiva tra le italiane, piuttosto perché costringe a restare sempre sulla corda dell’affermazione.
Per tutte queste ragioni, Allegri era arrivato alla gara di ritorno con l’Atletico come si arriva a una sfida mortale. In cuor suo si sentiva pronto ad annunciare le dimissioni a fine stagione: traghettare la squadra all’ ennesimo campionato ed andarsene, determinato al paradiso dell’ anno sabbatico. Attualmente, dopo la sonora rimonta con l’Atletico l’amarezza è svanita, ma il logoramento no. Troppo tempo è stato passato insieme e mentre quasi tutte le altre coppie si sfaldavano, questa continuava ad andare avanti, tra altissimi e qualche basso, appunto. Ma, molto spesso, un basso nella vita di coppia vale dieci alti.