Sandro Piccinini ha parlato in una lunga intervista a Tuttosport: "L’ultima mia prestazione è stata la finale del Mondiale dopodiche ho staccai la spina. Ne sentivo il bisogno, lavoravo da 18 anni, Mediaset tra l’altro non aveva preso i diritti Champions e mi piaceva l’idea di fermarmi dopo un evento importante. Ho così iniziato a fare molti viaggi, la mia grande passione per colmare un po’ delle mie lacune, dalla Cina a Cuba. Me la sono goduta. Mi sono arrivate proposte non molto convincenti, quindi è subentrato il Covid e poi ecco questa proposta di Sky molto stimolante a cui non potevo certo rifiutare. Sarò ospite fisso nel programma “Sky Calcio Club” di Fabio Caressa con un contratto di un anno come ho sempre fatto. Anche a Mediaset ero stato dipendente solo i primi anni. Poi mi dimisi per rinnovare di anno in anno per 20 anni. Mi piace l’idea, a fine stagione, di confrontarsi e capire se c’è ancora la voglia reciproca di continuare. Io poi sono restio agli impegni troppo lunghi". 

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AGLI INIZI - «Mio papà è stato un grande giocatore della Juventus di Boniperti, campione d’Italia due volte e la Nazionale. Per cui ho iniziato a che io a giocare a pallone e sino a quando lui è stato in vita sono rimasto convinto che sarei diventato un calciatore professionista. Non avevo dubbi. Purtroppo a 14 anni ho perso il papà che era la mia guida. Ho provato a tenere duro, sono arrivato sino agli Allievi della Lazio però poi ho visto che c’era gente davvero più forte di me, anche fisicamente. Per fortuna il senso di autocritica che mi aveva inculcato mio papà è stato d’aiuto. Ho continuato sino a 20 anni ma senza più grandi sogni. Che ruolo? Ero un 10, non a caso i miei idoli erano Sivori e Rivera. Ero molto bravo tecnicamente ma poco propenso a correre e rincorrere gli avversari. Negli Anni 70 cominciava il calcio della corsa». 
 
PIRLO - «Mi ha aiutato tanto nelle telecronache in cui devi spiegare anche il dettaglio del gesto tecnico. Diciamo che fallendo come calciatore è stata la mia rivincita poter commentare quella che è stata ed è la mia grande passione. Il lavoro dell’allenatore invece può prescindere dall’aver giocato o meno. Sino a pochi giorni fa sono stato vittima di un equivoco. Avevo pensato che dopo Allegri la società avesse provato la carta Sarri per cambiare gioco e a vere un atteggiamento più dominante. Pensando a Pirlo ho pensato che Agnelli volesse tornare indietro, cioè una figura che gestisse i campioni più che altro. In realtà leggendo la sua tesi a Coverciano sarebbe potuta essere firmata da Sarri: possesso palla, grande aggressività e difesa molto alta. Agnelli ha voluto provare lo stesso tipo di gioco ma con una personalità differente. Pirlo all’inizio quando si confronterà coi giocatori, per il suo carisma, avrà la massima attenzione. Vediamo se sarà bravo a farsi seguire. Dovrà saper entrare in sintonia, il segreto è l’empatia. Se non c’è è difficile poi che il gruppo esegua ciò che chiedi». 
 
DECIMO SCUDETTO? - «Intanto vediamo il mercato cosa riserva entro il 5 ottobre. Io dico che la forza economica di una società è molto importante. Adesso la Juve inizia ad affrontare i primi rossi di bilancio, dovrà vedersela con una squadra come l’Inter che l’anno scorso ha chiuso a un punto e ha alle spalle una potenza economica. Il gap finanziario è stato colmato, quello tecnico quasi. Mi aspetto un braccio di ferro per lo scudetto». 
 
TIFOSO - «Da bambino ero ovviamente juventino per mio papà. Mi innamorai pazzamente di Sivori, papà mi portò a conoscerlo, ho tutte le sue maglie. Idolo assoluto. Poi passò al Napoli e iniziai a tifare Napoli. Quando smise provai a ritifare Juve ma non era lo stesso. Di fatto rimasi senza squadra del cuore. Ho cominciato a tifare per le persone che valgono: come Ancelotti e Totti».