POGBA - «Paul è come un nipote, anzi un figlio. Litighiamo, poi facciamo pace. Ragazzo d’oro. È molto dispiaciuto per questa stagione alla Juve: era arrivato felice come un bambino, per lui tornare era un sogno. Purtroppo le cose non sono andate come voleva, ora però è ottimista perché finalmente la forma fisica sta migliorando. Deve voltare pagina, ha tanto da dare alla Juventus».
DOPO LA MORTE DI MINO RAIOLA - «Rientro in ufficio a Montecarlo il giorno dopo il funerale e mi trovo cinque procuratori, dico cinque, seduti davanti alla mia scrivania. Siamo qui per farti un piacere, mi dicono. Vogliono non solo le procure dei giocatori, ma addirittura l’intera società, la One. Guardano la mappa del mondo appesa al muro dietro la mia sedia, con le foto dei nostri ragazzi, come fosse la mappa del tesoro. Un minuto e finiscono tutti e cinque fuori dalla porta. In realtà è proprio lì che ho capito che dovevo andare avanti. Dico la verità: c’è stato un momento, durante la lunga malattia di Raiola, in cui avevo anche pensato di smettere. Ma non era giusto. Non lo era per me, per i nostri assistiti, per le persone che lavoravano con noi, per Mino».
SERIE A - «Quando iniziai, parlavo coi giocatori brasiliani: tutti volevano l’Italia. Se proponevi l’Inghilterra ti dicevano: ma che t’ho fatto di male? Ora però la serie A sta tornando: le due squadre in semifinale di Champions, l’impresa del Napoli che vince giocando bene. Il peggio è alle spalle. Certo, c’è ancora da fare».
Da sole, come sempre».