“Non è facile dopo la Champions. Se io sento di voler fortemente raggiungere un obiettivo, a livello inconscio avrò motivazioni, in caso contrario meno. Avendo vinto tanto in Italia questa squadra può inconsciamente avere meno motivazioni in campionato e spendere più energie in coppa, che poi paga in Serie A”. Non ha usato tanti giri di parole ieri Maurizio Sarri per descrivere una Juve abulica, rassegnata in alcuni tratti della partita poi pareggiata con il Sassuolo. Uno stop che ha consentito all’Inter il sorpasso in classifica.


E’ comprensibile, per certi versi, che sia complicato tenere alta la tensione in un gruppo oramai assuefatto ad un qualcosa che sembra quasi appartenergli di diritto, lo scudetto. La Juve in Italia vince da 8 anni, di cui gli ultimi 5 con un allenatore, Massimiliano Allegri, dimostratosi bravo a rigenerare di continuo quella fiammella in ogni singolo giocatore. Il fuoco dentro Chiellini e compagni lo hanno sempre avuto, inculcato in ogni modo, con qualsiasi spunto. Bastava una dichiarazione fuori posto di qualche avversario, una vittoria pesante del Napoli (di Sarri), ma la Juve di Allegri ha sempre giocato con il sangue agli occhi, con una incrollabile volontà, la vittoria unico obiettivo possibile. 


E ora, con l’Inter del grande ex Conte alle calcagna, come è possibile non trovare motivazioni sufficienti? Certo, la Champions è divenuta negli anni una sorta di ossessione, una magica utopia che tutto attrae. Ma la rivalità atavica con l’Inter non è una forza propulsoria necessaria per spingere al massimo anche in campionato? Davvero nello spogliatoio non smuove nulla l’immagine di Conte, bandiera bianconera, trionfatore a fine stagione con il nerazzurro indosso? Serve una scossa, mai come quest’anno le motivazioni ci sono. Ma vanno alimentate, e questo è il compito che attende ora Sarri.