Mitici i confronti dialettici tra quei due signori del calcio come Dino Viola e Giampiero Boniperti coloriti da sano antagonismo ma mai irriguardosi, anche nei momenti di maggiore fibrillazione. Impagabili “bisticci” a distanza tra Nils Liedholm e Giovanni Trapattoni volutamente condotti sul filo dell’ironia intelligente e dello sfottò da vecchi amici ormai rivali. Coinvolgenti i proclami di Roberto Falcao ai quali replicava, con eguale intensità, Roberto Bettega. Poi arrivava, sul campo, la resa dei conti con, a seguire, altri motivi per mantenere il cuore acceso. Il cuore delle rispettive tifoserie le quali avevano la possibilità di vivere l’evento, prima e durante e dopo, non solo con gli occhi ma con l’anima.
La Juventus, in particolare, è la regina di questo di questo impero del “politicamente corretto” dove dominano il grande freddo e i ghiacci e dove è impossibile varcare il confine della ragione per spingersi un poco oltre e centrare il cuore degli appassionati. Presidente, dirigenti, allenatore e giocatori tutti ben allineati lungo quella striscia neutra e formalmente perfetta che rende la stessa Juventus una macchina il cui compito unico è quello di vincere senza alcun tipo di sussulto fuori dalle righe in grado di inviare un messaggio preciso ai suoi tifosi e cioè che la squadra bianconera non è una fabbrica di caramelle o di automobili ma un soggetto artigianale in grado di produrre sogni ed emozioni. Non solo vincendo ma smettendo lo stucchevole abito blu da cerimonia per vestire jeans e maglietta.