E se Adrien Rabiot fosse l'ultimo di una lunga generazione di bohemien tipici della Francia di fine Ottocento? Un paradossale Rimbaud che sfoga il suo ego anziché tra le pieghe del foglio, con gli scarpini da calcio? Paragoni arguti, certo, ma a ben vedere l'altezzoso francesino, da come gioca a come si presenta, lo stereotipo del transalpino affascinante e dannato, talentuoso, ma in balia delle proprie emozioni, un pochino gli si cuce addosso. Per non parlare di quel rapporto così stretto, che ad occhi esterni appare quasi come un problema, con la madre - e procuratrice: anche Charles Baudelarie l'ha vissuto, come testimonia il lungo epitaffio sulla sua tomba. Aristocratico, vero, ma anche maudit, maledetto.

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RIFLESSIONI - Questo spunto di riflessione, vuole raccogliere come si fa con il migliore degli assist, il pallone lanciato ieri da Maurizio Sarri: "Nel 2019 non ha giocato, ha fatto 20 giorni di alto livello e poi è naturalmente calato, come chi non ha partite di grande livello nelle gambe. E' sensibile: quando è andato in difficoltà, è subentrato l'aspetto mentale. Ha grandi doti, tecniche e fisiche". Il ritratto che ci fa il tecnico bianconero di Rabiot, deve essere letto tra le righe, per essere capito. E tra le righe l'inquietudine si scorge, in due passaggi chiave. Il fatto che nel 2019 non abbia giocato, è il primo di questi. Perché ci racconta più di quello che sembra.

NATURA - Racconta proprio lo spleen, quello che si può provare solo a Parigi. Ci racconta la gabbia, dorata come quella di Versailles, in cui Rabiot nasconde se stesso. Ed esprime quasi malinconia, perché quel capello fluente, quel tocco di palla raffinato, un po' di punta e un po' di suola, non può sciogliersi. Non deve sciogliersi. Una goccia era caduta già con il caldo estivo, con quella sbavatura che sembrava superficialità contro il Tottenham in Cina, ma che forse oggi bisogna chiamare con il suo nome. Fragilità. La stessa che lo ha spinto ad essere uno scapolo ambito quest'estate, corteggiato dalla Rambla a Piazza Castello. Ma la stessa che prima lo ha spinto a dire basta, all'isolamento - pallonaro, sia chiaro. E la maledizione dell'artista è lì, che aspetta. "È subentrato l'aspetto mentale" dice Sarri, che tra psicologia e mecenatismo, ha il compito più difficile davanti: aiutarlo a trasformare l'inquietudine in virtù.