Federica Cappelletti, vedova di
Pablito Rossi, ha risposto, in un’intervista concessa a Repubblica, alle polemiche nate sulla possibilità di dedicare lo Stadio Olimpico di Roma all’attaccante Pallone d’Oro e Campione del Mondo nell’82.
NESSUNA RICHIESTA - “Tengo a sottolineare: Paolo in vita sua non ha mai chiesto, né preteso niente. È sempre stato uno fuori da tutto. L’idea è partita da RaiSport dove Paolo aveva lavorato ed era apprezzato, poi è stata accolta da Gravina, presidente Figc, e da Infantino, presidente Fifa. Mi dispiace molto che si strumentalizzi il nome di Paolo, perché lui non può difendersi e ne avrebbe provato dolore. L’Olimpico non è né della Roma né della Lazio, che tra l’altro da tempo vogliono trasferirsi in impianti di loro proprietà. Non c’è nessuna imposizione. L’idea dell’intitolazione è nata in base alla consapevolezza che lo stadio è dello Stato, quindi dell’Italia, ed è quello dove la Nazionale ha giocato di più. Altrimenti nessuno si sarebbe sognato di avallare quest’idea che è venuta per ricordare un giocatore che ha saputo dare emozioni a tutti, senza distinzioni locali. Mi sembra che nell’82 anche i cittadini di Roma abbiano gioito per i successi dell’Italia trascinata da Rossi, che non era nato in città e che non giocava per una delle sue squadre. Altra critica: l’Olimpico non è solo del calcio. Poi la dicitura Olimpico resterebbe. Diventerebbe Olimpico Paolo Rossi. Dal nome di un giocatore famoso che ha molto vinto e che ha rappresentato l’Italia in tutto il mondo. È un omaggio che non cancella il passato e non fa ombra al futuro”.
ALL'ESTERO - “Credo che all’estero sia diverso, morti e vivi vengono ricordati per quello che hanno significato nello sport. Prevale il sentimento collettivo, la memoria condivisa, il fatto che uno abbia saputo rappresentare tutti. Da noi tutto finisce per avere un’altra sponda, per irritare e ferire gli animi, sono circolate parole pesanti, spero invece si riesca a trovare un accordo, un’unità. Nessuno di noi della famiglia un giorno si è svegliato e ha detto vogliamo l’Olimpico, questo deve essere chiaro. Però a leggere certe cose ci si resta male, soprattutto perché Paolo era persona discreta, che non amava disturbare, né considerarsi importante”.
MARADONA - “Appunto, hanno cacciato un santo, per dedicarlo a un grande calciatore che ha saputo interpretare lo spirito della città e portarla allo scudetto. Giusto così. Non mi pare ci sia stata l’obiezione: però Maradona era un ex drogato”.
APPROVAZIONE - “Ricevuti messaggi? Si. Anche da parte di Falcao e di Zoff e da molti tifosi di Roma e Lazio. Hanno capito che offendere Paolo è sbagliato, non l’ha mica presa lui la decisione. Era un signore, sempre con il sorriso, mai detta una parola contro nessuno. C’è anche chi ci ha tenuto a ricordare che era finito nel calcioscommesse, come a dire che uno così delinquente non si merita uno stadio. Ma Paolo era innocente, ha pagato, senza sconti, per una cosa non fatta. Fossi stata con lui allora, avrei ribaltato il mondo per provarlo, e lo dimostreremo nel docufilm di Walter Veltroni, perché su questo punto deve avere giustizia. Paolo ha sofferto come un cane fino alla fine, lasciamolo riposare”.
LA GUERRA DEI ROSSI - “È quello che non voglio: una guerra nel nome di Paolo. Se dobbiamo arrivare alle armi, anche no. Le liti, le polemiche sono l’opposto di quello che era Paolo. Lui voleva unire non dividere, far provare gioia e rendere sereni tutti. Anche come uomo. Non dimentichiamo che è grazie a lui e alla Nazionale che nell’82 l’Italia rialza la testa, si riscatta e trova un sentimento comune. Queste baruffe non gli rendono merito. Se c’è la voglia di dargli una carezza e di mostragli affetto grazie a tutti, altrimenti finisce qui”.