Cogito ergo sum, Renato Cartesio. Fallo è, quando arbitro fischia, Vujadin Boskov. Corto muso, Massimiliano Allegri. Ci sono frasi, come si vede, che fanno storia. Non la fanno, però, senza considerare anche chi le ha pronunciate: non sono dei carpe diem qualsiasi, quanto piuttosto l'espressione massima della filosofia di chi ha scelto di comunicarle al mondo. Di Cartesio, ad esempio. Di Boskov, perché quella frase, tanto celebre nel calcio, si lega indissolubilmente all'ex tecnico della Sampdoria. O di Allegri, perché è inutile negarlo, se oggi - ad un anno esatto di distanza - siamo qui a ricordarla, vuol dire che la celebre conferenza stampa in cui parlò per la prima volta del "corto muso" è diventata emblema della sua filosofia. 

Si giocava ancora, un anno fa. E la Juventus era in visita alla Spal, in quel di Ferrara, con il campionato ancora matematicamente da conquistare - ma praticamente al sicuro - ed una Champions su cui concentrarsi. La partita contro l'Ajax ancora, per qualche giorno, era un futuro da scrivere. Così, in questo clima sospeso a metà tra gli affari nostrani e quelli europei, un Allegri in aria di addio ha deciso di lasciare ai posteri il suo più grande manifesto: "Il record di punti? Io ve lo dico, anche se poi divento noioso. Sei intenditore di ippica? ​Nelle corse dei cavalli basta mettere il musetto davanti, non c'è bisogno di 100. Quello che perde di corto muso arriva secondo, quello che vince di corto muso è primo. 84 punti per vincere lo scudetto, se il Napoli non le vince tutte bastano...". 

Non c'è da spiegarne il significato, d'altronde, una delle cose più affascinanti di Allegri è stata proprio la chiarezza. Anzi, commentarne il senso sarebbe un torto ad uno dei tecnici che, proprio a livello comunicativo, non ha mai avuto bisogno di filtri. Eppure, nella mistica di una frase che riassumiamo con il semplice corto muso, c'è qualcosa di più che una semplice citazione storica. C'è tutto Allegri, dalle sue passioni - come l'ippica - ai suoi difetti - "noioso" se lo dice da solo, a furia di ripetersi -. Ma c'è anche la massima di fondo, di un allenatore che non ha mai scelto la Juve, anzi, che a Torino è arrivato con scetticismo, ma che ha dimostrato essere calzante, non solo per il momento storico in cui si è seduto sulla panchina bianconera, quanto per la storia stessa del club. Un allenatore che vince, perché vincere è l'unica cosa che conta. E il suo amore per l'ippica, per i cavalli, per uno sport dove la tattica non si può spiegare agli atleti, rappresenta ulteriormente quello che è stato per lo spogliatoio juventino: un allenatore, non un maestro od un profeta. Sembrerà riduttivo, ma ormai la semplicità è diventato un tratto distintivo. E Allegri si è distinto, a fine stagione, per cinque stagioni consecutive.